“La terra impossibile” è il primo romanzo che tratta della Rosskaja Osvobodetelnaja Armija, cioè dei cosacchi, che nel 1944 invasero il Friuli. Bruna Sibille-Sizia lo scrisse a soli vent’anni. In queste pagine scorrono come fiumi tumultuosi le grandi masse travolte dagli eventi, si intrecciano le vicende dei protagonisti e i loro drammi individuali che tuttavia assumono una dimensione corale. I lettori troveranno la verità sulla più grande disfatta mercenaria che la memoria dell’uomo ricordi, giacché non sempre il tempo fa la storia ma al contrario può travisarla.
Un romanzo indimenticato, sopravvissuto agli anni, rimasto nel ricordo perché quelle vicende sono state viste e memorizzate dalla stessa narratrice e quindi il libro era ancora caldo di sangue e di emozioni, dell’odore della polvere sollevata dai cavalli, del fumo degli incendi intorno ai paesi dati alle fiamme dai nazifascisti, della vibrazione di amore e di odio, sentimenti che intrecciandosi confusamente nell’animo spingevano avanti, sotto una bandiera mercenaria e agli ordini di vecchi ufficiali nostalgici dello zarismo, quei cosacchi che cercavano una nuova terra in cui stanziarsi, a loro promessa dai nazisti.
Tito Maniacco scrisse: “In Friuli non sono molti i libri ai quali fare ritorno così come in genere spetta allo spirito di un popolo. Si dirà che lo spirito di questo popolo parla una lingua diversa da quella usata dalla nostra narratrice. Ma se lo spirito è nascosto nella lingua, è più profondamente radicato nelle storie stesse, ed è a queste storie che si deve fare ritorno. L’italiano è una delle due lingue costituite di questo nostro bilinguismo, e Bruna Sibille-Sizia ne è un’indiscussa maestra”.
Diego Valeri si espresse così: “Un’opera straordinaria. Sono stupefatto dalla sicurezza con cui ha condotto un intreccio che non è neppure un intreccio, ma piuttosto un groviglio di fatti e di eventi. Con la sua piccola mano ha mosso tutta un’armata, e, quel che è più “straordinario” (insisto sull’aggettivo) è che ha saputo ripetere il racconto di un’agonia e di una morte molte e molte volte, senza ripetersi mai”. Pasolini nel 1965 disse dell’autrice “una delle poche voci valide del Friuli”.
Con un ricco inserto fotografico in buona parte inedito che presenta immagini dei luoghi e dei tempi descritti.
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