Scriveva “l’adolescente” Bruna Sibille-Sizia nelle pagine del suo diario, il 17 febbraio 1945: «ricordo la fine atroce di Amelio, che mi resta in un angolo del cuore, sempre che dentro di noi ci abbiano lasciato almeno quello». Poi, nel tempo, “la donna” Bruna Sibille-Sizia riuscirà a conservare intatto quel ricordo e a difendere tenacemente quell’angolo di cuore.
Dopo essere stato personaggio del romanzo Avinis del 1960, Amelio ritorna ne Lo stagno delle rane, ma in tutt’altra storia e in tutt’altro modo: è proprio il narratore, non un personaggio immaginario, è l’amico adolescente morto nel settembre del 1944, il primo, puro, innocente battito del cuore.
Ricordi, riflessioni, denunce, episodi precisi riportati nel dettaglio con minuziosi riferimenti storici, in una scrittura che tuttavia tende spesso a cambiare; si fa vaga, veloce, frettolosa, sospende se stessa con i puntini, include discorsi diretti senza virgolette; procede seguendo un ordine essenzialmente cronologico ma anche un ritmo dato dal flusso dei ricordi. Qualcosa dunque, oltre alla narrazione in prima persona, rimanda al primissimo Diario di una ragazza nella Resistenza, da cui poi molti episodi sono, ancora una volta, tratti.
Si potrebbe disegnare il romanzo in uno schizzo: basterebbe tracciare i contorni delle rane in uno stagno, delle campane in un paese, e di una camicia bianca in un corpo di ragazzo che scaccia le ombre dagli occhi di lei con un accendisigaro. Poche immagini basterebbero a raccontare una storia.
(da “Una voce carpita e sommersa. Bruna Sibille-Sizia” di Martina Delpiccolo, Kappa Vu 2019)
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