“Da bambino ero convinto di avere una sfortuna intermittente.
I giorni pari andava tutto bene, quelli dispari una catastrofe.
Era diventata una fissazione, oggi lo posso dire, così come il fatto che c’entrasse la mia famiglia e la convinzione di essere nato vecchio, proiettato verso uno “ieri” sempre migliore, anche se non l’avevo vissuto. L’ossessione dei giorni alterni prese inizio una domenica d’agosto. Una volta l’anno, per la festa del santo protettore del paese di mio padre, il vescovo concedeva una dispensa a celebrare la messa in latino, con la liturgia preconciliare. Avrete capito che don Anselmo, il prete, era un tradizionalista, un seguace del vescovo Lefebvre, uno che odiava allo stesso modo i comunisti e ogni forma di rinnovamento.
Mia madre, cattolicissima, venerava Giovanni XXIII, ma allo stesso tempo riconosceva l’autorità dei preti e poi in fondo la messa in latino la faceva tornare giovane. Essere scelti per servire quella messa era un onore riservato a pochi. La Chiesa si riempiva di fedeli provenienti da tutta Italia, insomma, a dirla tutta, era anche un grande affare economico per i commercianti del paese.
La rappresentazione doveva essere di alto livello: paramenti sacri di lusso, cantori, chierici e chierichetti. Mia madre, ovviamente, ci teneva tanto che suo figlio facesse parte della funzione; aveva talmente insistito con don Anselmo che alla fine il parroco aveva acconsentito e mi aveva affidato il compito più ambito: spostare il messale da un lato all’altro dell’altare. Era un incarico di fiducia, considerato allo stesso livello dello scampanellio durante il Sanctus e del roteare il turibolo che sbuffava volute d’incenso. Il giorno del debutto, un caldo boia scioglieva in rivoli di sudore un’assemblea attenta ma affranta, che emanava sospiri e agitava ventagli.”…
Recensioni
Ancora non ci sono recensioni.