Il catastrofico terremoto che nel 1976 sconvolse il Friuli viene raccontato per la prima volta in un romanzo, completato a 10 anni dal tragico evento. In molti casi ogni riferimento a persone reali è puramente casuale, e del resto i paesi attraverso i quali il protagonista snoda la sua triste esperienza non portano un nome. Ciò è intenzionale perché ogni paese vuole essere tutti i paesi del Friuli, e i bambini, i vecchi, le donne, gli uomini vogliono essere tutti i bambini, i vecchi, le donne, gli uomini del Friuli.
È per rendere omaggio alla propria terra che Bruna Sibille-Sizia ha raccolto in questi paesi imprecisati le tragiche vicende avvenute un po’ dovunque. Non aveva importanza che il paese si chiamasse Gemona, Osoppo, Trasaghis, Buja, Tarcento, e il fiume Tagliamento, e il torrente Torre, e la montagna Glemina, San Simeone, Brancot, Musi, perché il terremoto, più o meno duramente, ha colpito con effetti ripetitivi tutta una vasta zona e le storie che troviamo nel romanzo sono simili a quelle delle centinaia di vittime e delle decine di migliaia di superstiti la cui vita restò segnata dalla drammatica esperienza. Gli avvenimenti scorrono sotto lo sguardo del protagonista principale, che è un cane, come attraverso un filtro: un effetto non privo di magia. Come ha scritto Gianfranco Ellero: “Un cane da catena è un romanzo splendido, intensamente poetico e ben degno di pubblicazione”.
Con un ricco inserto fotografico con immagini scattate dall’autrice nei luoghi descritti nel romanzo.
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