Mia madre voleva fortemente crescere un poeta. Senza una ragione precisa, semplicemente perché il poeta è un grande amico silenzioso che non giudica mai.
Il giorno stesso del suo suicidio mi ha telefonato e le ultime parole che mi ha detto sono state: “Racconta la mia storia per gli altri”.
Io non ho mai amato questi grumi di parole che vengono a galla da dentro di me. Mi sembrano il sintomo evidente delle follie che ho visto, del degrado, della violenza, della paura. Mi fanno sentire diversa e l’essere umano, purtroppo, diffida delle differenze.
Al tempo delle vicende narrate avrei tanto voluto un libro così, che mi dicesse: “un giorno avrai tempo per lavarti, pettinarti, cucinare, per scrivere le tue memorie”. Avrei voluto che gli psichiatri di mia madre leggessero questi versi, per capire davvero in profondità, al di là di qualsiasi diagnosi. Soprattutto, io e mia madre, vorremmo che nel sentirsi dire “PSICOSI BIPOLARE”, più persone possibili ne capissero il dramma. Nel mondo attuale la poesia sta quasi scomparendo e io ne sono felice; perché di qualsiasi cosa sente la mancanza, proprio di quello l’essere umano ha fame e sete. La poesia risiede dove c’è privazione, ma fiducia.
Barbara Grubissa
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