Brutta bestia la realtà, troppo grande e complessa per poterla guardare a tuttotondo e troppo stratificata per poterla metabolizzare rapidamente. GPN, all’occhio del lettore più attento, mostra una profondità a tratti addirittura insondabile. E se al primo approccio l’aspetto che affiora è quell’estetica lieve e ricercata che è il suo marchio di fabbrica, essa poi si circonda di un alone, di un rumore di fondo, di una “macchia nera” incombente (cfr. Dame in Moskau di Wassily Kandinsky, 1912, München, Lenbachhaus), che è poi il pretesto – solo il pretesto – per la scrittura (e di fronte alla quale il lettore casuale potrebbe anche restare perplesso), e non ne esaurisce la portata. Non bisogna, però, fermarsi qui: è un libro a cui chiedere molto, poiché molto gli chiede l’autore attraverso le voci dei personaggi che, nella dualità degli impulsi spesso in contrasto tra loro, esprimono l’unica possibile, autentica, sincerità degli archetipi ad essi sottostanti. La realtà? Sta al lettore trovarla.
Il Signorino
C’è sofferenza e apprensione, nella Villa, per gli sviluppi della malattia della Signora: il pericolo di vita, poi l’incerto decorso e il difficile recupero della parola e – privazione più dolorosa ancora per il Signore – dell’affettività di prima. Un dramma che egli registra giorno per giorno, fino alle soglie della speranza: diario apotropaico e catartico, come questo romanzo stesso. Non è solo: gli è compagno un giovane servitore. Neppure lui può comunicare, troppo diversa la sua lingua, ma l’affetto supplisce, al punto che il buon Tosolini impara a interpretare discorsi e gesti e persino la scrittura del Signore. È lui, in ogni senso, l’eroe del romanzo. Come sempre la scrittura di Nimis è felicissima, densa eppure leggera nella sua essenzialità, ma qui c’è di più, molto di più, ed è con grandissimo piacere che soltanto alla fine il lettore scopre con quanta abilità l’autore abbia architettato la sorpresa che induce a una seconda lettura… Se la soluzione di un giallo risolve e chiude l’indagine, la rivelazione finale qui riconfigura e riapre un’invenzione poetica e toccante.
Mario Turello
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