Pantera è visto sia sotto l’occhio dello storico che con l’attenzione dello scrittore molto attento all’organizzarsi di una psicologia, di una coscienza, di un’identità all’interno di un mondo contadino molto più complesso di quanto possa lasciar supporre la sua lentezza di società fredda.
In tal modo, per accerchiamento e per spessori, Mariuz costruisce tutti gli elementi, quelli alle spalle ma che hanno determinato la vita di una piccola comunità (all’interno di altre comunità più grandi tutte in simbiotica relazione), e quelli presenti, quasi un passato prossimo (la vita di collegio in una Portogruaro che pare ancora ferma ai tempi di Carlino Altoviti), fino a formare e il nodo e il laccio per stringere verso l’incalzare e il concludersi tragico della vicenda umana. Qui l’istinto ribelle, costruito su umori e situazioni, ha un suo crescere per strati gli uni determinati dagli altri e componenti il carattere, istintivo, infuocato e romantico, la cui caratteristica appare evidenziata dall’azione finale e dalla morte, raccontate con gelida precisione cinematografica.
Il senso della capacità di penetrazione di Mariuz fra i pori della società del Sanvitese consiste nel fatto che, improvvisamente, il lettore avverte l’emergere e il palesarsi di quelle diverse anime della Resistenza di cui oggi tanto si parla, quella che assume l’aspetto della guerra patriottica, della guerra civile, e quella che rivela i non sopiti fili di una sotterranea e indistinta lotta di classe.
Ciò avviene per il modo con cui sono stati costruiti i nuclei essenziali della storia sociale e per la sapienza molto letteraria con cui sono stati amalgamati, in un flusso narrativo con tutte le componenti tonali necessarie a farne risaltare le caratteristiche.
dall’introduzione di Tito Maniacco
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