Tempo fa ho ritrovato un fascicoletto con mie composizioni risalenti agli inizi degli Anni 90 – brevi composizioni in versi che scrissi per degli amici in occasione d’un mio compleanno. Avevo allora, nel 1993, sessant’anni, e non so qual dèmone m’incitò a donare (povero dono) ad uno e ad altro amico dei testi che, ora riletti, non mi paiono indecenti – ovvero intrisi di quella pura indecenza che vuol mostrar le proprie ire e ferite insieme ad un difficile compatimento (o amore?) di sé e d’altri. Ché è ben vero essere la amicizia un ambiguo sentimento d’attrazione e repulsione, e più sottile rispetto alla violenza repulsivo-attrattiva dell’amore. Ci si ritrovava nel vecchio Ghetto, in Gorizia, e da quegli incontri nacque l’esperienza di quella rivista “I quaderni della luna” ch’ ebbero vita lungo-breve e cessarono intorno al 2000. Ah! “ricche notti di provincia” (Laforgue, credo), piene di dissipazioni e austerità – luogo occulto e mai sufficientemente esplorato – nomi, presenze-assenze, furori e spossatezze, che, ora, quasi vent’anni dopo, ti si levano – per non spenta memoria, ancora – davanti in una dizione sì irritata ma stranamente elegante, depurata quasi da odori, fetori, ansiti, profumi che stazionavano in noi, intorno a noi, in stanzette d’osterie o case d’amici, onorate dal vino e dalle diatribe del nostro scontento. Eccoti, quindi, lettor ipocrita (d’ipocrita onestà, l’hypocrite lecteur di Baudelaire) – e d’una simiglianza che deborda in desiderio di dissimiglianza… eccoti questi testiccioli d’aspra mollezza (sic!), di vecchia complicità, tra tenebre di memoria – del non più… o dell’imminente silenzioso trionfo del molto invocato oblìo…
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