«[…] Perché mai ancor oggi Giona interroga, provoca, seduce e ispira, come anche Luca De Clara ci mostra in questa sua bella e intensa raccolta poetica? Tento qualche risposta, dal mio osservatorio teologico. Mi pare che in Giona venga proposto drammaticamente il binomio vicino-lontano. Ninive è il luogo lontano per eccellenza, geograficamente, culturalmente, religiosamente – «No soi jo chel just par Ninive / … o par New York» –, ma è soprattutto il luogo della missione, della chiamata, dell’incontro con l’altro-da-me. Anche Tarsis è lontano, ma in modo diverso: è il luogo della fuga dalla responsabilità, dell’illusione dell’invisibilità e forse anche della percezione di un Dio che implacabilmente ti scova, quando ha deciso di chiederti una mano. Un Dio implacabile nella debolezza: «Di bessôl jo no pues nuje»! Ma se Ninive e Tarsis sono lontani, dov’è il vicino? Chi è? Sembra che il vicino e il lontano dipendano marginalmente dalla posizione che l’uomo di volta in volta assume. La lontananza e la vicinanza le fa Dio. Ninive è lontana dagli orizzonti di Giona – lontana prima, e proprio per questo non ci vuole andare, ancor più lontana dopo, a causa del livore per una pietà inaspettata e scandalosa –, e sembrerebbe lontana anche da Dio, ma Dio le si fa vicino: non può abbandonare una città «nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali». Perfino degli animali Dio si occupa! Inoltre sembra che, se ha poco senso parlare di lontananza, perché Dio è vicino a tutti, sia ancora più insensato credersi vicini in modo esclusivo come Giona – «tu vais, tu lu preis, / tu ti fasis plen di borie / e tu contis ch’al è to chel Signôr» –! A Dio e non a Giona, spettano il giudizio e l’azione! Giona, il vicino, è lontanissimo. Ninive e Tarsis, terre lontane, sono vicine perché Dio le tiene d’occhio. E Giona, lontano nella sua vicinanza, è vicino nella sua lontananza, quando scappa e Dio lo ritrova o quando, sotto il ricino rinsecchito e le vampe del sole, Dio gli si fa incontro per farlo ragionare. Chissà se si convince di fronte all’appassionata autodifesa del Signore? Come nella parabola del padre buono (Lc 15,11-32), anche nel libro di Giona la conclusione rimane sapientemente in sospeso. La scena si dissolve e solo risuonano nella penombra parole di costernata bontà – «non dovevo avere pietà…»; «bisognava far festa…» – davanti alle quali occorre prendere posizione. Chi è veramente dalla parte di Dio? E chi è contro? E io dove sono? Mi pare sia questo il caso serio sollevato dal libro di Giona, che riecheggia anche nelle poesie di Luca».
Dalla Postfazione a cura di don Federico Grosso
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