Sul “confine orientale” si sono intersecati i principali nodi della Seconda guerra mondiale e della successiva Guerra fredda, anzi la vicenda di Porzûs ne è stata un’anticipazione a guerra calda ancora in corso. È stata presentata poi come la giustificazione di Gladio, mentre ne è la sua prima manifestazione: tecniche d’infiltrazione, segretezza, false flag, manipolazione propagandistica e poliziesca, convivono qui in un trait d’union fra i mezzi e fini che erano stati del fascismo e quelli che saranno dell’atlantismo. Un filo che ci porta ad anni più recenti, a nomi e organizzazioni della strategia della tensione che ha insanguinato l’Italia nel dopoguerra: Borghese, Sogno, De Lorenzo, Angleton, e oltre, fino alla P2. Mezzi e strategie di guerra psicologica e “controrivoluzionaria” per combattere il partito comunista e l’afflato di cambiamento che era emerso dalla lotta di Resistenza.
Rivelare i modi, sottili ma anche grossolani ed arroganti, in cui i “fascisti di sempre”, aristocratici e borghesi spalleggiati da polizie e servizi segreti, sono riusciti e riescono ad ingannare un’opinione pubblica sempre più disattenta alla profondità e complessità della Storia, è lo scopo di questo libro. Sottigliezze e grossolanità che, sostenute da decenni di fake news storiche, sono diventate la “verità rivelata” della “minaccia” comunista, e per disvelarne la falsità ci sono volute una lunga indagine storica e più di mille pagine. Ma basteranno?
Anni ’50. In piena guerra fredda, un processo a 52 partigiani, operai e contadini friulani. Un processo anticomunista, gestito dai governi democristiani, in un Paese sottoposto alla “sovranità limitata” atlantica. È solo una triste storia da relegare nel passato?
Gli storici e i politici italiani in tutto il dopoguerra hanno dato per certa la versione dei fatti sancita dai giudici del tempo: a Porzûs un gruppo di gappisti comunisti “filotitini” e traditori ha ucciso un gruppo di partigiani “bianchi” difensori del confine orientale d’Italia. Ma le cose sono andate proprio così? Purtroppo anche il mondo antifascista non ha messo sostanzialmente in discussione questa narrazione, forse costretto sulla difensiva in tutto il dopoguerra da un rinato mondo antipartigiano particolarmente aggressivo e dotato di mezzi potenti di propaganda e persuasione. E, soprattutto dagli anni Novanta, tanti politici di sinistra e istituti storici hanno lasciato il campo ai Pirina, cioè alla versione neofascista delle vicende resistenziali, e ai Pansa, cioè alla versione degli antifascisti un po’ pentiti di esserlo stati, ovvero di aver fatto la Resistenza con i comunisti.
La mia inchiesta storica parte dalla consapevolezza che di fronte alla propaganda “eterna” intorno alla vicenda di Porzûs era necessario andare “a vedere le carte”, verificare tutti i passaggi, dallo svolgimento dei fatti al comportamento di tutti i soggetti in campo. Ciò che ne è emerso è qualcosa di completamente diverso da quanto narrato dal mainstream giornalistico e anche storiografico. Il re ora è nudo. Demistificare la narrazione di Porzûs è emblematicamente importante per l’oggi. Non è mai tardi per ricominciare una strenua battaglia storica. Ce n’è bisogno. Lo vediamo ormai ogni giorno. (Alessandra Kersevan)
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