Ogni giustificazione della guerra – quale essa sia – è, per la retta ragione, inaccettabile. Il poeta – se vuole seguire questa ragione – è ancora costretto alla indignazione, né serve che egli si rifaccia ad una o altra ideologia, alle diverse “morali” che infestano il mondo. Basta che la sua ira si fondi sulla visione della nuda, umana individualità; basta che il suo sdegno si nutra di giusto sospetto per l’umano genere dannato, e tuttavia respinga la volontà di sterminio e potenza dei dominatori, dei vincitori, e sia consapevole, compassionevolmente, dello sterminio assiduo, quotidiano che percorre la terra.
Questo “Breviario iracheno” è debitore – ovviamente – al Brecht del “Breviario tedesco” (“Deutsche Kriegsfibel”). Caduta quella ideologia in cui credette il poeta di Augusta, la lezione della sua indignazione e del suo sarcasmo permane, e soprattutto non è tramontato quel materialistico nichilismo che qua e là emerge dai versi di quel poeta.
“Guerra è guerra – dicono –
ed essenziale è vincere,
distinguere
vincitori e vinti.
Io vedo solo sconfitti.”
Silvio Cumpeta
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