Può accadere che stando fuori dal coro la voce risulti stonata. È sempre così in momenti di smarrimento. Dall’altro lato c’è il brusio indistinto del misticismo, che nei settori più raffinati e colti diventa misticismo tecnologico al cui centro fraseggia e lampeggia il computer. O estetismo o disimpegno. Nella sua totale inutilità come non merce per eccellenza, la poesia, probabilmente, fuori dal coro per forza di gravità sociale, acquista una sua stridente atonalità e una sua particolare forza di gravità la cui a-socialità è disperata lotta per rientrare in un equilibrio di compensazione con la dialettica del mondo moderno.
Le schegge che Morandini esplode fanno parte della lotta della letteratura, di certa letteratura, di poca letteratura, di una nuova idea della letteratura che poco contiene (anche se pur contiene) del vecchio e così rabbiosamente contrastato engagement.
L’elemento più problematico di questa poesia è che essa presuppone, marxianamente, la necessità di perdere quell’insensata aura di totale esclusione dai rapporti fra gli uomini che una ritualità piccolo borghese le ha sempre, a torto, attribuito, e di rientrare nella corrente, assumendosi, nel bene e nel male, tutte le caratteristiche della merce, il cui arcano consiste semplicemente nel fatto che tale forma rimanda agli uomini come uno specchio i caratteri del proprio lavoro.
Ed è proprio guardandosi in queste poesie e seguendo le spirali dei disegni di Cragnolini che il passivo lettore può iniziare il suo attivo cammino di attivo attore.
Allora è possibile, ché di una possibilità si tratta, rientrare nel coro, così come succede, appunto, alla vox organalis, al discanto insomma, la cui natura è quella di dar origine, nella musica alla polifonia, e nella società ad un nuovo ed intonato coro alternativo.
È interessante notare che un sinonimo di alternare è cambiare e che un sinonimo di cambiare è rivoluzionare.
(dall’introduzione di Tito Maniacco)
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